Eccesso o mancanza di controllo cerebrale nel disturbo ossessivo-compulsivo?

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 04 luglio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVE AGGIORNAMENTO]

 

Non è stato facile per gli psichiatri formati ad una concezione psicologica della psicopatologia affrontare la realtà di una nuova era, in cui tutta la materia delle basi neurali dei disturbi mentali poteva e doveva essere scritta. Un secolo di teorie psicologiche dell’eziopatogenesi di sindromi e sintomi ha profondamente improntato il modo di pensare di generazioni di psicopatologi, al punto da far dimenticare che la scelta di cercare l’origine dei disturbi nello stile di personalità e negli apprendimenti legati alle esperienze affettivo-emozionali dello sviluppo, era la conseguenza obbligata dell’impossibilità di osservare direttamente il funzionamento cerebrale e cercare di leggervi quanto stesse realmente accadendo. Se da un canto è vero che il livello psicologico e quello neurale costituiscono due entità concettuali distinte e metodologicamente separate, che possono continuare ad esistere come approcci indipendenti, è pur vero che ciascuno dei due livelli, se non vuole essere astratto dalla realtà dell’osservazione, deve riconoscere i propri limiti rispetto all’altro. Fino a quando è mancata una conoscenza di fatti neurobiologici ed eventi neurofunzionali correlati ai processi mentali, i disturbi corrispondenti alle nevrosi della vecchie classificazioni sono stati interpretati riportando la forma dei sintomi alle caratteristiche di personalità, e il prodursi delle manifestazioni sintomatiche all’effetto di conflitti inconsci, traumi psichici, condizioni disadattanti o stress protratto. Anche se non tutto ciò che è derivato da questo schema è stato superato, è evidente la completa copertura del campo interpretativo da parte della ragione psicologica: la forma dei sintomi (ossessivi, isterici, fobici, ecc.) è riportata alla personalità – di per sé un concetto psicologico – la cui costituzione e il cui sviluppo sono il portato di teorie psicologiche della mente; psicologiche[1] sono anche le ragioni proposte, talora come evidenze, talaltra attraverso costruzioni congetturali, quali causa del prodursi delle manifestazioni cliniche. È evidente, in questo pan-psicologismo, una deroga al paradigma biologico della medicina scientifica che, seppure adotta altre scienze per studiare agenti nocivi per l’organismo quali la fisica, per le radiazioni, la chimica per i caustici, e così via, quando si tratta di indagare e descrivere la fisiopatologia è rigorosamente biologica.

Oggi le neuroscienze forniscono la possibilità di definire un endofenotipo per processi psichici e manifestazioni comportamentali e, anche se siamo solo agli inizi di un’impresa che si annuncia ardua e di lunga durata[2], non è più possibile tornare indietro, negare l’esistenza di queste conoscenze e rifugiarsi nelle ingegnose e rassicuranti mitologie psicologiche del Novecento.

Identificato nel DSM-5 con il codice 300.3 (F42), il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD, da obsessive-compulsive disorder) è caratterizzato da pensieri, idee, frasi, immagini o urgenze che si impongono alla coscienza e generalmente sono avvertite come non proprie ma irrinunciabili (ossessioni), associate spesso alla necessità di compiere atti mentali o materiali ripetuti, non necessari o privi di un senso oggettivo immediato, ma in grado di ridurre la tensione o lo stato di disagio ed alterazione che si accompagna all’emergere delle ossessioni (compulsioni). Il tradizionale approccio su base psicoanalitica, che attribuiva ad una fissazione allo stadio anale dello sviluppo libidico un assetto funzionale di personalità, dal quale sarebbero derivati i sintomi, tendeva ad incoraggiare un’identificazione della persona affetta da OCD con uno stile di pensiero (analitico, formalistico, iper-razionale ma con eccezioni a struttura magica) e un modo di essere (ostinato, cavilloso, puntiglioso, rigido, poco pratico, avaro, superstizioso) tipico di un prototipo nosografico quasi mai integralmente riscontrabile in un paziente. Precorrendo i tempi, l’attuale presidente della nostra società scientifica suggeriva già negli anni Ottanta un approccio tendente ad incoraggiare una presa di distanza dai sintomi[3], supposti originare da un funzionamento cerebrale anomalo non in grado di invalidare le risorse della coscienza del soggetto che, supportato circa la possibilità di riuscire a dominarli, era invitato a seguire un programma di esercizi per il rimodellamento degli atteggiamenti mentali e di misure preventive dei circoli viziosi degli eventi più acuti. La speranza di poter conoscere le caratteristiche del funzionamento cerebrale nell’OCD, per poter migliorare l’approccio e rendere più specifici e mirati gli interventi terapeutici, ha dovuto attendere qualche decennio.

Ormai da anni si indagano le basi fisiopatologiche del disturbo mediante metodiche di neuroimaging. Dopo alcuni insoddisfacenti tentativi compiuti con la tomografia ad emissione di positroni (PET), la risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) è diventata quasi uno standard come mezzo di esplorazione dei correlati neurofunzionali degli stati psichici soggettivi e del comportamento osservabile. Una dettagliata esposizione della ricerca condotta con questi mezzi avrebbe le dimensioni di un libro, sia pure non ponderoso, e probabilmente evidenzierebbe anche tanti particolari e dettagli di difficile interpretazione, ma di sicuro interesse. Per gli scopi di questo breve aggiornamento sarà sufficiente sintetizzare concettualmente i due risultati di più facile interpretazione, ossia il rilievo di anomalie in due sistemi neuronici cerebrali, l’uno che si ritiene implicato nella formazione delle abitudini e l’altro che si ritiene svolga un ruolo di supervisione. Alla chiarezza dei rilievi, che non lasciano adito a dubbi sull’esistenza di lievi anomalie, non fa riscontro una certezza di interpretazione. Infatti, se le alterazioni conducono alla formazione dei sintomi o sono piuttosto la conseguenza del comportamento ripetitivo e, in generale, del funzionamento ossessivo-compulsivo, non è stato finora compreso.

Claire Gillan della New York University, con un gruppo facente capo all’Università di Cambridge, ha recentemente esplorato la possibilità di dirimere il dubbio, studiando direttamente il cervello durante la formazione di un’abitudine. In questo esperimento, protratto nel tempo, 37 volontari affetti da OCD e 33 volontari equivalenti per requisiti ma non affetti dal disturbo, sono stati studiati mediante uno stretto monitoraggio dell’attività cerebrale e una valutazione comparativa fra pazienti e controlli, durante la formazione indotta di un’abitudine.

In pratica, i volontari dovevano imparare ad evitare una lieve scossa elettrica pigiando un pedale. Sulla base delle informazioni ottenute, e tenendo conto dell’esito comportamentale dell’apprendimento, si è cercato di rilevare nei pazienti differenze, per riconoscere eventuali anomalie di funzione in uno o in entrambi i circuiti in rapporto alla formazione dell’abitudine. Per tutti i partecipanti all’esperimento, premere il pedale è diventata un’abitudine, ma gli affetti da OCD continuavano ad azionare la leva anche quando si aveva la certezza che non vi fosse più la minaccia della scossa elettrica. Le regioni ritenute sede dei sistemi neuronici che presiedono alla formazione delle abitudini non hanno fatto registrare differenze significative nel funzionamento fra pazienti e controlli. Al contrario, un’evidente attività anomala è stata registrata nelle regioni sede dei sistemi neuronici che svolgono attività di supervisione di comportamenti diretti ad uno scopo.

Il risultato di questo studio, pubblicato quest’anno sull’American Journal of Psychiatry[4], è molto interessante, perché rilevando l’integrità della base neurofunzionale per la formazione delle abitudini ed un’alterazione circoscritta al sistema supervisore, indica l’utilità di un programma che, esercitando e rinforzando la gestione volontaria cosciente delle attività finalizzate, può consentire un intervento correttivo della disfunzione della supervisione automatica.

Questo risultato, insieme con gli esiti più significativi degli altri studi recenti, incoraggia un atteggiamento attivo da parte del paziente nell’affrontare con buona volontà e costante applicazione una sfida difficile, perché consistente nel rimodellare funzionamenti che agiscono come spinte naturali e tendono spontaneamente a consolidarsi.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-04 luglio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Psicodinamiche, relazionali, fenomenologiche, cognitivo-comportamentali, eccetera, a seconda della scuola culturale di riferimento.

[2] Cfr. G. Perrella, Tentativi ed esperimenti per un nuovo approccio scientifico al mentale. BM&L-Italia, Firenze 2015.

[3] Secondo un modello sperimentato con successo nella riabilitazione neuropsicologica.

[4] Una prima versione era già disponibile online nel dicembre 2014.